L’opera artistica di Avelino De Sabbata – si firma Ave – coniuga con risultati accattivanti e di notevole efficacia linguaggio tradizionale e nuove tecnologie. De Sabbata, professionalmente, è esperto in computer, che usa nei settori della pubblicità, della progettazione edilizia, dei videofilm. Come pittore è invece legato a forme accademiche pur intrise, soprattutto nei ritratti, di acutezza d’introspezione e di limpida, seducente felicità descrittiva. Si direbbe, la sua, una “mano” abile e felice, soggetta tuttavia all’impasse di calligrafiche indulgenze.
Attraverso la digitalizzazione egli riesce peraltro a depurare l’immagine di una qual rigidità “scolastica” connessa ai condizionamenti di un “vero” fotograficamente perseguito, introducendovi quel di più di fantasia che consente il salto dalla mera abilità riproduttiva alla creatività poetica. Il computer, insomma, diventa strumento di espressione assolutamente personale.
Per mezzo dello scanner il disegno a matita, a carboncino o a penna viene ingrandito e quindi stampato sulla tela speciale tipo “canvas”. Questo trattamento consente all’autore di mettere in risalto particolari grafici, sgranature, ombre, riverberi luminosi, che movimentano, scompaginano, dissolvono, ri-assemblano il soggetto effigiato, lo fanno lievitare, elevandolo dall’ovvietà del documento alla trasfigurazione emotiva. A parte, De Sabbata stende su un altro foglio macchie colorate ad acquerello, a loro volta digitalizzate e quindi riportate sulla stampa del disegno, previa elaborazione secondo criteri dettati caso per caso dall’effetto che si vuole ottenere.
Volti e corpi rappresentati si proiettano al vivo su fondi bianchi che, esaltandone la tessitura, suggeriscono l’arcano del “non finito”; si inscrivono in viraggi di colore; vengono ad essere scomposti e ricomposti mentalmente secondo un ordine virtuale d’intersecazioni di piani geometrici e d’imprevedibili tangenze. L’artificio filtra, verifica, analizza, interpreta l’immediatezza del tratto.
Ed ecco la testa di un bambino sezionata in trasparenza sul lato alto da un fascia verticale azzurro-violetta, mentre un leggero riquadro giallo ne isola parte della faccia, evidenziando l’occhio vivace e, per contrasto, l’accennato sorriso campito in bianco e nero (Enrico 2). Una successiva versione del medesimo soggetto riempie l’intera inquadratura passata per una dominante solarizzata e per un tocco blu in basso (Enrico 1). In altri ritratti infantili il colore sfiora irregolarmente l’intera super ficie, rinforza le ventose modulazioni del segno, le inturgidisce espressionisticamente, sottolinea alcuni particolari fisionomici, disarticola in tarsie ortogonali la percezione unitaria dell’immagine slontanandola illusivamente e, nel contempo, ne esalta l’innocente e affabile carica comunicativa contenuta tutta nell’intensità dello sguardo (Ritratto sorridente, Ragazza in rosso e blu, Ritratto di bimba, Agnese). La dominante celeste perlinato, facendo emergere per contrasto la pallida purezza de lla pelle, conferisce alla giovane velata serena nobiltà d’apparizione sacrale (Serena come Maria); proietta in primissimo piano la grazia riflessiva di un viso elegante d’adolescente ombrato dall’onda scura dei capelli (Ragazza d’Argentina – immagine di questo articolo). E il profilo della madre ignuda che allatta il figlioletto si incide con tenerezza delicatissima di cammeo in un uno spazio vago (Maternità).
Alla singolare capacità di cogliere in istantanee cariche di affettuosa simpatia la freschezza degli sguardi infantili fa riscontro la perturbante sensualità dei nudi femminili. Grovigli di linee eccitate, turbini cromatici accompagnati a ridde di gabbie grafiche rivelano caratterizzazioni forti e decise, come nella bellissima modella che compare in Figura accosciata; suggeriscono nell’abbozzo dei fidanzati il caldo abbandono di un incontro d’amore (Innamorati); fanno scaturire dalla donna sdraiata di schiena (Nudo disteso di schiena) un’erompente tensione carnale che, in certi casi, arriva addirittura a disfare la figura, lasciando visibili di essa soltanto alcuni sinuosi particolari anatomici dai quali si irradiano attrattive pulsioni (Nudo disteso sul fianco sinistro); oppure, come nella figura accoccolata che reclina il capo sulle ginocchia, il fraseggio rapido e nervoso si inscrive in una sorta di lenzuolo spiegazzato sul fondale vivido di nubi e folgorazioni a suggerire solitudine e dolente isolamento (Serena accoccolata); affonda lo scorcio rapidamente accennato del busto di ragazza dai capelli ariosi in variegate dominanti di fuoco (Figura di ragazza); trasforma il nudo supino in una sorta di tenebroso calco di materia lavica (Figura di schiena); mentre il profilo del nudo “scritto” da sottili vibrazioni dorate a tratto continuo sulla superficie emulsionata di azzurri e di verdi profondi ha qualcosa della magica politezza delle decorazioni che ornavano gli specchi bronzei dell’antica Corinto e ricorda il nitore dei disegni composti dal Picasso del periodo classico (Sandra).
Il procedimento di ricomposizione e di riporto realizzato con lo strumento meccanico produce un qual effetto di straniamento dell’empito pittorico, lo liofilizza, sicché l’osservatore ha l’impressione di trovarsi di fronte a opere di un tempo remoto da contemplare nel presente con ambiguo e inquietante distacco. E sta qui – credo – l’originalità e l’attualità delle proposte di De Sabbata.